“Coloro che lasciano le rivoluzioni a metà non fanno altro che scavarsi una tomba” è un film ambientato tre anni dopo il fallimento del movimento studentesco “Maple Spring” che si era formato per combattere l’aumento delle tasse universitarie. I quattro protagonisti della storia: Giutizia, Tumulto, Ordine Nuovo e Klas Batalo, giovani con storie molto diverse tra loro, decidono di non darsi per vinti e continuare a combattere per un futuro migliore.
La loro insoddisfazione trova rifugio lontano dagli occhi della società, autosegregati in una prigione morale che non lascia spazio a compromessi. I ragazzi si lasciano trasportare dalla rabbia che li porta a compiere azioni violente sempre più simili ad atti terroristici.
Questa pellicola, presentata quest’anno al Film Festival di Lucca, racconta una storia colma di insoddisfazione che invita le giovani generazioni a combattere, a svegliarsi dal sonno profondo a cui per tanto tempo si sono abbandonati e a far sentire la propria voce. I registi, attraverso le parole dei protagonisti, comandano di cercare la libertà, di non essere più semplici spettatori della vita ma di salire sul palco per far valere i propri ideali. Delusione, speranza e rassegnazione sono i sentimenti che ardono negli animi dei quattro giovani, imbrigliati in una realtà che non riconoscono come propria.
Con le sue tre ore, i suoni martellanti ed i silenzi assordanti, il film ci catapulta in un limbo senza tempo, creando un’empatia tra lo spettatore e gli stati d’animo dei giovani ribelli. I protagonisti, frantumando la quarta parete, parlano direttamente a noi attraverso la telecamera e ci spingono a lottare per far valere le nostre idee.
Questi, che si dotano di soprannomi come avevano fatto i francesi rivoluzionari, sono angosciati da questo passato che non può avere futuro e, rivolgendosi direttamente alla telecamera, cercano di risvegliare i nostri animi assopiti. Nudi e crudi in ogni aspetto, i ribelli si spogliano di fronte alla cinepresa privandosi dei vestiti e delle catene a cui la società li ha legati. Il tema del nudo assume qui una duplice funzione e significato: da un lato è sinonimo di libertà e della possibilità di esprimere senza remore la propria identità, un vero e proprio rifiuto nei confronti dei costumi della società, ma, dall’altro, mette i protagonisti nella condizione di essere giudicati dagli altri e, prima ancora, da loro stessi.
Questo film, colmo di citazioni letterarie, si ripromette di lasciare un segno nella storia del cinema catapultando gli spettatori in un luogo al di fuori del tempo e dello spazio descritto e seguito in ogni suo minimo dettaglio. Per tutta la proiezione barcolliamo sospesi tra un passato che grava ancora sugli animi e un presente che non vuole proseguire.
Tutto il montaggio è volto a stimolare la riflessione e a svegliare le nostre coscienze. Musiche martellanti fanno da sottofondo ad una teatrale scenografia e ad una fotografia incisiva. La ripresa, che si alterna tra una visione d’insieme e una più intima, apre una finestra su chi, dopo 3 anni, non ha ancora smesso di lottare e sente gravare su di sé il peso di una civiltà corrotta dal desiderio di potere.
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