Joy – La straordinaria vita dell’imprenditrice Joy Mangano

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La storia di Joy Mangano, inventrice del Miracle Mop, la magica scopa per pulire i pavimenti, sembra scritta apposta per diventare un biopic. Donna forte e tenace, diviene una delle più grandi imprenditrici d’America facendo leva solo sulle sue forze.

Il 2015 è stato sicuramente un anno ricco di pellicole tratte da storie vere (basti citare la pellicola su Dalton Trumbo e il pluricandidato The Danish Girl). Fra queste, trova il suo posto nell’Olimpo di Hollywood anche quella di Joy.

Il film ripercorre le tappe fondamentali della vita di questa giovane donna (Jennifer Lawrence). Sin da adolescente, la ragazza si è occupata della famiglia e dei suoi genitori, una mamma teledipendente e un padre ambiguo che si risposa ben presto. (Virginia Madsen e Roberto De Niro). Giovanissima prende marito, ha tre figli e a soli trent’anni divorzia, in un periodo, gli anni ’80, in cui una madre single non era di certo ben vista. La sua vita cambia radicalmente quando ha un’illuminazione: da donna di casa qual’è inventa il Miracle Mop, una scopa rotante e lavabile in lavatrice.

Difendendo ad ogni costo la sua invenzione dalle grinfie dei membri della sua famiglia, diventa famosa grazie a un guru della Tv commerciale (Bradley Cooper), che capisce la portata “rivoluzionaria” di questo brevetto e permette a Joy di sponsorizzarlo in diretta. Il suo prodotto ha così tanto successo che, solo nei primi 20 minuti di spot pubblicitario, ne vende diciottomila. Ad oggi Joy è una delle più importanti imprenditrici e self-made woman d’America. A sessantatrè anni, guida un impero da un miliardo di dollari, che ha dato lavoro ai suoi figli ed anche al suo ex marito.

David O. Russell chiama a raccolta i suoi fedelissimi Jennifer Lawrence, Bradley Cooper e Robert De Niro, qui alla terza collaborazione col regista (dopo Il lato positivo, che vale l’Oscar come miglior attrice protagonista alla Lawrence, e American Hustle). Nel cast compaiono anche Isabella Rossellini, Virginia Madsen e Edgar Ramirez.

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Robert De Niro ci regala una performance caratterizzata da una straordinaria ironia (come in tutte le altre sue collaborazioni con questo cineasta) e Bradley Cooper dà ancora una volta il meglio di sè, guidato ormai da quello che può essere considerato il suo mentore. Ma il cuore e l’anima del film risiedono in Jennifer Lawrence, vincitrice del suo secondo Golden Globe e candidata all’Oscar per questo intenso ruolo.

Il film non ha riscosso molto successo fra i critici e gli addetti del settore, concordi nel trovare la performance della giovane attrice l’unica nota positiva del film. L’interprete, guidata da David O. Russell, cresce e migliora ogni giorno di più, portando avanti grandi interpretazioni in cui riversa tutto il suo talento, mostrando ogni singola sfumatura ed emozione delle donne che porta sullo schermo.

L’aspetto meno riuscito risulta essere proprio la regia. Da sempre David O. Russell è uno di quei registi apprezzati o criticati in maniera quasi univoca dalla stampa e, nel caso di questa pellicola, sono tutti concordi nel ritenere il suo lavoro meno riuscito che negli altri film. Il cineasta ci porta ancora una volta all’interno di una famiglia fortemente disfunzionale, la cui storia, però, è narrata in maniera troppo didascalica rispetto al modo in cui venivano narrate le vicende dei nuclei familiari protagonisti di The Fighter e de Il lato positivo, diametralmente opposti ma emblemi perfetti di dinamiche non convenzionali.

In Joy, invece, il rapporto fra la giovane protagonista, la madre e la sorellastra ricorda la favola di una moderna Cenerentola, in cui il regista non prende mai una posizione ma si limita a filmare i rapporti fra queste tre donne. Esemplare, in tal senso, la sequenza iniziale della pellicola. Anche gli altri personaggi contribuiscono a rendere il quadro di una famiglia atipica, senza però spiccare di fronte alla straordinaria carica emotiva che Jennifer Lawrence imprime al personaggio. Unica altra interpretazione degna di nota risulta essere quella di Isabella Rossellini, nei panni della nuova moglie del padre di Joy, matriarca dispotica e perfida donna d’affari.

Ma questo impianto non basta a reggere il peso e la forza di una storia come quella di Joy Mangano. Il regista finisce così per rendere la trama in maniera semplicistica. Nemmeno il montaggio, usato in maniera accademica ma personale, riesce a rendere il film più dinamico. La storia, infatti, viene narrata con una struttura tipica delle soap opera anni ’80 e strizza l’occhio a capisaldi del genere, come Dinasty.

Poche sono le trovate o le scene che colpiscono l’attenzione dello spettatore: una su tutte, quella della nevicata che sorprende Joy, simbolo dell’avvenuto riscatto della giovane, in cui la fotografia viene sfruttata al meglio all’interno di una pellicola di stampo drammatico.

Joy è quindi un film riuscito a metà, che merita una visione solo per la performance della Lawrence e per il tentativo di O. Russell di narrare, ancora una volta, dei temi a lui cari: amore, determinazione, sacrificio e voglia di riscatto.

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