Il primo romanzo di Ilaria Tuti, “Fiori sopra l’inferno”, è un thriller. Ma racconta, attraverso il mistero e la morte, la vita.
#Titolo: Fiori sopra l’Inferno
#Autore: Ilaria Tuti
#Pagine: 368
#Casa Editrice: Longanesi
#Prezzo: 16,90€
Passato il caldo estivo e le serate al mare, sono tornata per presentarvi il libro che mi ha tenuto piacevolmente compagnia durante le mie vacanze settembrine. Il romanzo che ho scelto è di un’autrice a me nuova, Ilaria Tuti, che ha riscosso molti consensi con questo suo primo romanzo: “Fiori sopra l’inferno”, edito da Longanesi nel 2018.
“…Era di una bellezza primitiva, da far perdere i riferimenti. Le cime innevate sovrastavano una foresta millenaria, sorgendo come lame opache da un tappeto fitto di boschi. Facevano pensare ai giganti della mitologia, obbligavano a restare con il naso all’insù, con un senso di vertigine nell’anima. Nel sottobosco, tra pini cembri e rovi di mirtilli, zampillavano corsi d’acqua trasparenti, scorrendo agili tra rocce, stalattiti di ghiaccio e muschio odoroso.”
Sin dalle prime pagine, la descrizione del paesaggio e delle atmosfere risulta estremamente coinvolgente, capace di far avvertire a chi legge la vastità degli spazi e il brivido delle ambientazioni invernali, scenario ideale per una serie di macabri e inspiegabili omicidi. Le montagne, con i loro boschi e la neve che li ammanta, finiscono per abbracciare il lettore e fargli percepire la loro stretta. Situazioni e personaggi invece, funzionano come una porta, che accoglie e apre alla vista fatti misteriosi e antichi segreti.
Quest’opera ha una trama molto ricca e ben strutturata, anche se non raggiunge mai il livello di pathos che ci si aspetterebbe da un thriller. Personalmente, infatti, non sono riuscita ad avvertire il livello topico di tensione in nessun punto della storia. Nonostante ciò, gli riconosco le caratteristiche di un buon giallo, che aggancia sin da subito l’attenzione e la curiosità senza mai lasciarle andare.
La narrazione ha momenti di maggiore intensità e altri di particolare introspezione, distinguendosi per la piacevolissima dialettica e per lo stile elegante e particolarmente curato.
“Lasciò che la malinconia agrodolce accompagnasse i suoi passi tra le stanze, assieme a quella ninna nanna toccante… Aprì il frigorifero e all’improvviso fu come galleggiare in un mare di oggetti senza identità. Insieme alla luce che si era accesa spalancando lo sportello, era comparso qualcos’altro, il nulla. Non era più in grado di dare un nome alle cose…. Cercò di parlare, ma la lingua sembrava accartocciata, la mandibola resa rigida dal panico.
Era il suo mondo, ma non lo riconosceva più.
Si accorse che la ninna nanna era finita. Proprio quando ne aveva più bisogno, il suo angelo era tornato a dormire.
Era di nuovo sola. Sola e spaventata.”
Il vero protagonista di questo romanzo, attraverso lo sguardo e i sentimenti delle donne che lo popolano, è il vissuto della maternità, questo è il nodo centrale di tutta la vicenda. In alcuni tratti dell’opera, particolarmente focalizzati su questo tema, pare quasi che il ritmo della storia rallenti, trasmettendoci tutta la complessità e il tormento che a volte da esso ne scaturiscono. Un universo di emozioni che tocca non solo la protagonista, il commissario Teresa Battaglia, ma anche molti dei personaggi che incontriamo pagina dopo pagina.
La ricchezza di Fiori sopra l’Inferno, a parer mio, è la capacità di rendere palpabili i mondi emotivi dei suoi characters. Ne risulta evidente un lavoro ben pensato e, soprattutto, realizzato con partecipato approfondimento.
Il commissario Battaglia, prima fra tutti, manifesta una nudità interiore molto toccante, connotata non solo da forti spigolature caratteriali ma, in particolare, dalle sue evidenti fragilità, da cui spesso cerca di fuggire e delle quali è perfettamente consapevole. Teresa non è più giovanissima, ha problemi di salute ed è profondamente segnata da un dolore che arriva da lontano, che torna e la affligge anche nel suo quotidiano. È proprio quella ferita che le permette di vedere ciò che altri faticano a cogliere, arrivando al vero significato di ciò che accade e a cui dà poi una lettura tutta personale e spesso spiazzante.
Ella ha uno approccio severo nei confronti degli adulti e si ferma con amorevole attenzione sui bambini, in particolare su quelli che hanno esperito l’abbandono, spesso adultizzati e soli. L’importanza della relazione e del senso di umanità diventano il fuoco di tutto: un grido inquietante, una richiesta d’aiuto che si propaga tra le pareti innevate di questi monti, in una crescente e agghiacciante eco che ci porterà alla verità dei fatti.
“Teresa si chiese quanto dovessero scendere in quell’inferno di roccia e di acqua e, come rispondendo alla sua richiesta, il lamento si udì di nuovo. Era vicino…”
Ilaria Tuti ha dato prova in Fiori sopra l’Inferno di riuscire, non solo a creare un interessante intreccio narrativo, ma soprattutto di essere in grado di osservare, ascoltare e raccontarci quanti infiniti universi possano prendere origine da ferite simili tra loro.
Conosceremo il vero volto di alcuni personaggi solo alla fine del percorso, quando finalmente rinunceranno al velo di ipocrisia di cui si sono vestiti, per nascondere a un mondo giudicante un sé più limpido e autentico.
La protagonista, in particolare, si fa conoscere attraverso il proprio diario, in un sincero e trasparente dialogo con sé stessa: parole prima pensate, poi scritte, spesso dimenticate e perse nel vuoto – le sue paure, più delle sue certezze, ce la fanno conoscere e apprezzare, finanche a farcene sentire la mancanza a lettura terminata.
È un libro che mi sento di consigliare, per la qualità della scrittura e per i temi non semplici che riesce a toccare. Fiori sopra l’inferno si è rivelato per me una buona scelta e, proprio per questo, spero lo diventi anche per voi che mi leggete.
Auguro a tutti una buona lettura e vi do appuntamento al prossimo libro, sperando di trovarvi numerosi!
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