- Titolo: 365 Giorni (365 DNI)
- Genere: Non pervenuto (ma qualcuno dice Erotic Drama)
- Anno: 2020
- Regia (inesistente): Barbara Białowąs e Tomasz Mandes
- Attori (ma neanche più di tanto): Michele Marrone, Anna-Maria Sieklucka, Bronisław Wrocławski, Otar Saralidze, Magdalena Lamparska, Natasza Urbańska
- Durata: 120 crudelissimi minuti
È dalla penna di Blanka Lipińska, cosmetologa (sì, COSMETOLOGA!) polacca, che nasce questa evitabilissima trilogia di romanzi dal titolo 365 giorni.
*N.B: Siccome non ce la sentiamo proprio di definirlo “film”, onde evitare giramenti di cadaveri in tombe, la parola film riferita a questo… questo… boh, sarà sempre in corsivo, come se a ogni utilizzo del termine stessi disegnando le virgolette in aria con le dita.*
Al significato dei 365 giorni ci arriveremo con calma, perché prima di quello ci sono problemi ben peggiori, in questo primo film (e sì, dobbiamo aspettarcene altri due). Descrivere la trama di questa oscenità seguendo un filo logico non è semplice, per un unico motivo: quale filo logico? Dov’è il filo logico?
Proviamo così: Massimo Torricelli è un giovane siciliano implicato nella mafia, che si innamora a prima vista di Laura Biel, polacca, dirigente di non si sa bene cosa a Varsavia.
La stessa autrice ha affermato che la “trama” di 365 giorni è ispirata a Cinquanta sfumature di grigio (grandi aspirazioni proprio!). Tuttavia, più che una semplice ispirazione, qui rasentiamo veramente il plagio: inquadrature e musiche sono la copia fatta male di alcuni momenti di Mister Grey & Co, ma una cosa buona c’è: Cinquanta sfumature non è mai stato un film così bello, se lo confrontiamo con quello di cui stiamo parlando.
Io personalmente, infatti, mi sento in dovere di chiedere scusa a E.L James, a Sam Taylor-Johnson, a Jamie Dornan, a Dakota e a chiunque altro abbia lavorato a quel film. Questo perché, se ai tempi lo abbiamo definito di un trash inguardabile, 365 giorni come mai potremmo definirlo? Facciamo così: un obbrobrio sessista, presuntuoso e, manco a dirlo, di livello inguardabile su una scala da uno alla serie trash di Youtube “Intrighi e passioni”.
Comunque, il film si apre su uno splendido panorama a noi familiare: l’isola di Lampedusa, dove Massimo Torricelli, per la prima volta, vede Laura tramite un cannocchiale (primi segnali di sindrome acuta da stalker)… E già qui ci sono dei problemi. La regia è un misto tra lo spot pubblicitario di uno yogurt e quello di un tour operator. Insomma, una roba da inserzioni su facebook.
Ad accompagnare questa apertura (una scena che vorrebbe essere d’azione… già, dovrebbe!) c’è una musica che niente ha a che fare con la scena a cui stiamo per assistere (un po’ come tutte le musiche presenti nel film).
I dialoghi sono qualcosa di inascoltabile, ricchi di frasi fatte recitate male. Ne è un esempio quella pronunciata dal padre, che dice al nostro Massimo “Un giorno tutto questo sarà tuo”. Inutile specificare che Mufasa, pure nella realtà e non solo nel cartone, l’ha e l’avrebbe detta cento volte meglio.
Un secondo dopo il padre muore per una pallottola che, in base alla traiettoria che vediamo, dovrebbe arrivare dal bel mezzo del cielo, cioè dal nulla. E se pensate che questa scena dia una parvenza di plot, beh, vi sbagliate, perché non serve a una benedetta cippa. Il padre è morto, lui è ferito (secondo gli sceneggiatori, dato che l’unica espressione che ha è quella di uno che si è fatto un acido a una festa), musica drammatica che solo una telenovelas anni 2000 poteva permettersi e tac! Siamo a cinque anni dopo… FANTASTICO, NO?
Montaggio alternato tra una sala conferenze a San Francisco, che segue l’ormai orfano Massimo e una sala conferenze a Varsavia, che invece segue Laura. Ci viene da pensare che vi sia un collegamento, qualcosa in comune, ma no, non c’è. Anzi… qualcosa sì: le scarse doti attoriali e le battute scariche (per essere gentili e non definirle ridicole). Una scena, quindi, nuovamente inutile, con nessuno scopo a livello di trama, realizzata solo per provare a presentarci questi due personaggi.
E dopo questa spettacolare intro, inizia il peggio: le scene “hot”. Definirle hot è un sacrilegio, dato che sfiorano la regia e il sonoro di un normale film per adulti. Lei è avvilita e sessualmente frustrata perché il suo compagno non le dà attenzioni, lui approfitta di una ragazza qualunque (una hostess) a bordo dell’aereo.
Sorpresa sorpresa, entrambi sono diretti in Italia. E ancora più sorpresa, si incontrano! Ma PAZZESCO! CHI LO AVREBBE MAI DETTO?
Il bello e la sostanza di questa dubbia vicenda prendono definitivamente il volo. Immaginate di incontrare di nuovo la persona che avete visto da qualche parte chissà quanti anni prima (in questo caso cinque)… Cosa fareste?
Suppongo, prima di tutto, che vi presentereste. Poi magari un invito a bere qualcosa e vediamo come va… giusto? Ebbene no. No, perché Massimo è un bad boy mafioso e dopo aver chiesto a Laura “Ti sei persa, bambolina?”, la rapisce e le da 365 giorni per innamorarsi di lui.
Ma lei questo ancora non lo sa, perché da quell’incontro e da quella frase orribile (che neanche Costantino Vitagliano nelle serie trash di Youtube), si sveglia in una camera estranea, scende al piano di sotto, trova questo sconosciuto (Massimo) e gli chiede “Perché mi tieni prigioniera?”. E noi dalla nostra parte ci chiediamo: come fa lei a sapere di essere prigioniera se si è appena svegliata e non ha la minima idea di cosa stia succedendo?
Già in questa prima mezz’ora ci rendiamo conto del disastro “cinematografico” (definirlo cinematografico è un complimento) che è questa cosa: buchi di trama, scene non necessarie, attori mono-espressione… e chi più ne ha, più ne metta.
L’apice però l’hanno raggiunto con “Ti scoperò così forte che ti sentiranno strillare fino a Varsavia”… questa battuta è talmente brutta che è riuscita almento a farci ridere.
Chi è un po’ sadico (o cinematograficamente curioso come me) andrà avanti a guardare il film, mentre invece chi non ha tempo da perdere tornerà al catalogo di Netflix e cercherà qualcos’altro per occupare la serata…. e, credetemi, farebbe bene… perché qui inizia il peggio del peggio.
Ma prima cerchiamo di fare il punto…
Regia: il regista finora deve aver lavorato, ripeto, per pubblicità come lo yogurt Müller (ma neanche, perché pure quelle riprese sono fatte meglio) o qualche video amatoriale per adulti; Fotografia: il direttore della fotografia ha cercato di imitare i big senza riuscirci. Non mi sorprenderei se fosse un ragazzino di quattordici anni o un tecnico delle luci; Attori: facce congelate sulle schermo che, aldilà di ogni battuta, hanno sempre la stessa espressione (Kristen Stewart style). Lei è bella, almeno, lui… meh, passiamo oltre.
Quindi cosa rimane? Rimane un’ora e mezzo di riprese a caso infilate tra scene di sesso squallide e disgustose. Non conta quanto siano esplicite, perché scene di sesso esplicite ne vediamo tutti i giorni e se hanno un senso e sono fatte bene le apprezziamo, conta il valore che hanno all’interno della trama… e qui il valore non c’è proprio.
Nel mentre la storia sembra andare avanti, ma si basa sempre su una forzatura: pensateci… davvero riuscireste ad andare a letto con chi vi ha rapito e fa di voi un mero oggetto?
E qui davvero la rabbia prende il sopravvento. Il film più visto su Netflix, il più criticato (purtroppo anche in senso buono da una certa fetta di spettatori), che manda all’aria anni di lotte contro il sessismo, che ancora una volta riduce le donne a essere attratte da un uomo pseudo-potente.
Questo film non è solo un insulto all’arte del cinema, è innanzitutto un insulto alla parità, quella per cui ci battiamo da anni. Facciamo baccano, manifestazioni, rivolte… poi arriva una cosmetologa e ci sbatte in faccia l’ennesimo abuso provando a dipingerlo di erotismo (???) e romanticismo (?!?).
Abbiamo parlato del peggio del peggio, ma il peggio del peggio del peggio è che, nonostante tutto, questa serie andrà avanti. Si sa… bene o male, quello che conta è che se ne parli. Ne stiamo parlando anche noi, è vero, ma solo per dirvi di NON guardarlo.
Davvero… risparmiatevi dolore, attacchi di vomito e perdita di punti sul quoziente intellettivo.
E se l’avete già visto, beh… ci dispiace. Vi siamo vicini nel dolore.
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