#Titolo: L’amore molesto
#Autore: Elena Ferrante
#Genere: Thriller
#Casa Editrice: Edizioni E/O
#Prezzo: € 8.99
Carissimi lettori,
in questa serata di luglio, movimentata dal cielo cupo e dai borbottii dei temporali in lontananza, sono qui a presentarvi un libro che ho terminato proprio ieri: L’amore molesto di Elena Ferrante, edito da E/O nel 1992.
Ammetto che le mie aspettative, dopo aver letto la tetralogia dell’“Amica geniale”, erano piuttosto alte. Purtroppo però sono state soddisfatte soltanto in parte.
“Il giorno dopo due ragazzi videro il suo corpo che galleggiava a pochi metri dalla riva. Aveva addosso solo il reggiseno. Non fu trovata la valigia. Non si trovò il tailleur blu. Non trovarono nemmeno le mutandine, le calze, le scarpe, la borsetta con i documenti. Ma aveva al dito l’anello di fidanzamento e la fede. Alle orecchie portava gli orecchini che mio padre le aveva regalato mezzo secolo prima.”
In una tiepida serata di maggio, il corpo senza vita di Amalia viene trovato in mare. Vestita del solo reggiseno, senza tracce dei suoi altri indumenti, diviene difficile per gli inquirenti comprendere l’evoluzione dei fatti che hanno portato al tragico evento.
La figlia Delia, non riuscendo a credere che si tratti di suicidio, ritorna nella vecchia casa materna e si riavvicina ad ambienti e persone allontanate da tempo. Il suo obiettivo è di comprendere quanto sia accaduto, immergendosi con fatica in contesti sociali e familiari lasciati alle spalle da anni.
Riemergono ricordi, incontri e scontri, che favoriscono la rielaborazione di emozioni sopite che l’avevano segnata e che, anche dopo decenni, riescono a riattivare dinamiche interiori non sempre completamente comprensibili.
L’amore molesto è narrato in prima persona da Delia, risultando così emotivamente più immediato per il lettore e favorendone il coinvolgimento. Seppure il racconto sia molto fluido ed evidentemente curato nel lessico e nello stile narrativo, L’amore molesto non è riuscito a trascinarmi totalmente dentro l’anima della sua storia.
“Poi si girava allegramente verso di me con la faccia bagnata, l’acqua che le scrosciava sulla nuca dal rubinetto di casa. Le ciglia e le pupille nere, le sopracciglia tracciate a carbonella, appena ingrigite dalla schiuma che, ad arco sulla fronte, si rompeva in gocce d’acqua e sapone. Le gocce le scivolavano giù per il naso, verso la bocca, finché lei le catturava con la lingua rossa e mi pareva che dicesse ‘Buone’.”
È inevitabile cogliere alcuni contenuti comuni con i testi de ”L’Amica geniale”, seppure qui ancora acerbi e sviluppati in modo meno approfondito. Ritroviamo infatti, anche in questo romanzo, la bellissima città di Napoli sullo sfondo, la vita di borgata, situazioni di molestie faticosamente confessate e le dinamiche spesso torbide nelle relazioni tra uomini e donne.
Una tematica particolarmente cara all’autrice è il rapporto, inquieto e sofferto, tra madre e figlia. È palpabile infatti, in alcuni passaggi, una partecipazione più personale dell’autrice, che spesso pone le due figure l’una di fronte all’altra come in uno specchio. Ella sviscera anche il loro rapporto fino a sondarlo nel profondo, dove la simbiosi e il conflitto a volte si alternano e altre si fondono.
L’amore molesto si connota come romanzo introspettivo e psicologico dalle tinte noir. Delia, infatti, è immersa in un viaggio interiore in cui gli spostamenti temporali sono frequenti e determinanti per dare struttura e intensità all’opera.
Accade di continuo che il suo volto si confonda e si fonda con quello di Amalia. Come in un riflesso, la figlia scopre nella madre scostamenti e uguaglianze a cui non vuole rinunciare: per quanto a volte, provi a negare a sé stessa le somiglianze con il genitore, molto più spesso teme che da un momento all’altro ciò che le accomuna scompaia per sempre. Sa bene che se ciò dovesse accadere, anche il loro legame e il loro appartenersi svanirebbero come fumo.
Trovo questo punto particolarmente interessante perché offre al lettore un’occasione per immergersi in una riflessione più personale e costruttiva.
Ciascuno di noi infatti si rende consapevole dei propri confini attraverso il confronto con le persone che incontra. Spesso, scostarsi troppo da chi ci circonda può dare un senso di smarrimento e di perdita, non solo nei confronti del prossimo ma, soprattutto, della propria dimensione interiore ed emotiva. Se puoi si parla del paragone con una figura così vicina a noi come una madre, il sentirsi in qualche modo simili diventa determinante per la definizione del proprio pensiero e della propria identità.
Così accade per la protagonista: ella, se da una parte vorrebbe lasciarsi alle spalle i conflitti e il loro legame tanto intenso, dall’altra sa che, se ciò avvenisse, la sua anima farebbe fatica a tenere insieme i pezzi senza dissolversi.
“Ma mentre mi strofinavo il viso vigorosamente, in specie intorno agli occhi, mi resi conto con tenerezza inattesa che invece avevo Amalia sotto la pelle, come un liquido caldo che mi era stato iniettato chissà quando.”
Difficile salvare gli uomini che abitano i romanzi di Elena Ferrante. Troviamo sovente figure con caratteri ruvidi e, nella maggior parte dei casi, difficili da giustificare. Spesso la cultura limitata mantiene in un torpore spirituale e cognitivo, che rende impossibile avvicinarli davvero a una maggiore autenticità e maturità. La molestia sessuale, attecchita nella miseria sociale e valoriale, si infiltra anche qui subdola nella vita della protagonista, condizionandone l’esperienza affettiva e molti degli eventi che si sono verificati nel corso della sua esistenza.
Quelli che animano questo romanzo, sono uomini che faticano a camminare con le proprie forze: elemosinano e pretendono che altri, il più delle volte le donne che gli sono accanto, li tengano in piedi e gli diano la direzione giusta da seguire. In cambio, essi le usano e le braccano, chiudendole in un’esasperata insoddisfazione interiore che imperterrita le tormenta e le frammenta nel profondo.
“L’infanzia è una fabbrica di menzogne che durano all’imperfetto: la mia almeno era stata così.”
In linea di massima ho trovato quest’opera interessante, anche se taluni passaggi li ho ritenuti troppo simili ad altri brani sviluppati nella tetralogia pubblicata successivamente.
Penso più che altro che alcuni temi trattati siano particolarmente cari alla scrittrice. Pare infatti che, un romanzo dietro l’altro, stia cercando nel tempo di approfondirli e svilupparli, dando così ai suoi lettori la possibilità di cogliere meglio il percorso di crescita e di maturazione professionale che la muovono.
Personalmente, mi è parsa un po’ sviante la parte legata al giallo della morte di Amalia: utilizzato come incipit trainante della storia, è stato l’evento scatenante della trama che mi ha spinto a continuarne la lettura ma che, nel proseguo, è risultato poco stimolante.
Mi sento in ogni caso, di consigliare questo libro a chi abbia voglia di approcciarsi alle opere di una Elena Ferrante agli esordi, fase iniziale in cui le sue risorse erano comunque già chiaramente evidenti.
Il romanzo si rivela sicuramente piacevole e originale e, nel complesso, possiamo considerarlo un ottimo esempio della dote indiscutibile di questo grande talento letterario italiano.
Nella speranza di avervi aiutato nella scelta di una prossima lettura, concludo salutandovi caldamente e dandovi appuntamento alla prossima recensione su Monlaw.it.
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