- Titolo: Baby
- Paese: Italia
- Anno: 2018-2020
- Genere: Teen Drama
- Stagioni: 3
- Episodi: 18
- Durata: 40-51 minuti (a episodio)
- Ideatore: Antonio Le Fosse, Giacomo Mazzairol, Marco Raspanti, Eleonora Trucchi, Romolo Re Salvador
- Cast: Benedetta Porcaroli,Alice Pagani, Riccardo Mandolini, Brando Pacitto, Mirko Trovato, Giuseppe Maggio
-Trama:
Ideata dal giovanissimo collettivo di sceneggiatori GRAMS, Baby è la seconda serie di finzione italiana prodotta da Netflix (dopo Suburra). Composta di 3 stagioni, la trama è ispirata a un increscioso fatto di cronaca di pochi anni fa: due minorenni, provenienti dalla Roma da bene, si prostituivano in cambio di denaro.
La storia ruota intorno a Chiara (Benedetta Porcaroli) e Ludovica (Alice Pagani). La prima è bionda, acqua e sapone, è nella squadra di atletica ed è una figlia modello. La seconda invece è mora, più sofisticata, solitaria ed è la pecora nera dell’istituto, quella presa di mira da tutti i suoi coetanei. Vengono da ambienti diversi, ma frequentano la stessa scuola, un immaginario liceo dei Parioli: il Carlo Collodi. Un nome che non è un caso. Collodi è infatti il padre di Pinocchio e Baby è una storia di bugie.
Qui ognuno ha qualcosa da nascondere e ogni personaggio è in cerca di sé stesso. Damiano (Riccardo Mandolini) per esempio è cresciuto al Quarticciolo, e, dopo la morte della madre, si trova catapultato in un nuovo quartiere e in una nuova scuola. Fabio (Brando Pacitto) è il figlio del preside, oppresso dal padre e mal voluto dagli altri ragazzi. Isabella Ferrari è Simonetta, la madre di Ludovica, eterna adolescente che si comporta come lei; Mirko Trovato è Brando, un ragazzo in conflitto tra ciò che è e ciò che vorrebbe essere.
In questo mondo di bugie e realtà nascoste, le due protagoniste scelgono di buttarsi in una realtà immorale per sentirsi invincibili e potenti, convinte di avere finalmente il controllo nelle loro mani… ma a quale prezzo?
-Recensione
Baby, diretta da Andrea De Sica, somiglia decisamente alla poetica di Federico Moccia, lo scrittore e regista che nello scorso decennio ha segnato, in positivo e negativo, il cinema adolescenziale italiano. Fra ricchi annoiati, bulli liceali, famiglie disfunzionali e incomprensioni tra genitori e figli, la serie si riempie di mille cliché che cercano in tutti i modi di affossare un’idea che sarebbe potuta essere molto interessante.
In bilico tra un teen drama patinato, sentimentale, amaro, dark e le parole della canzone Girl Just Want To Have Fun, Baby è una sorta di romanzo di formazione in cui di certo le ragazze non vogliono solo divertirsi.
Le protagoniste vogliono il controllo su loro stesse e sugli altri, vogliono sentirsi invincibili: questo è ciò che le spinge a cadere nel giro della prostituzione ed è questo ciò che racconta Baby. Qui non è importante il fatto, quanto ciò che lo ha provocato. Le serie è un’indagine all’interno della psiche umana, di cosa spinge le persone a fare ciò che sanno essere sbagliato.
“Viviamo in un acquario, ma sogniamo il mare. Per questo dobbiamo avere una vita segreta” ci racconta all’inizio la voce narrante di Chiara.
Andrea De Sica ha preso i Parioli e ne ha fatto un mondo emblematico di tutte le gabbie dorate, dei luoghi elitari con grandi speranze e troppe regole. Il vivere dentro un acquario, una bolla, ti fa venire voglia di saltare fuori. Percorre dei binari obbligati ti fa venire voglia di deragliare. I genitori non sono modelli affidabili e allora si cerca al di fuori della famiglia e della scuola qualcuno che ci dia la carica a raggiungere qualcosa, qualcuno, o qualcosa, che ci faccia sentire importanti.
Trasgredire vuol dire avere il controllo della propria vita, significa scegliere per sé stessi e a tutti i costi. E la notte, quel territorio oscuro e sfumato in cui le identità mutano, è il momento perfetto per assumere una seconda identità che ci faccia sentire vivi.
“Per noi la vita è essere onnipotenti” dice una delle protagoniste di Baby mentre scorre Girls Just Want to Have Fun in sottofondo. Perché cosa è l’adolescenza senza il fuggire, l’uscire dagli schemi e il sentirsi liberi? Solo una tappa di mezzo tra chi i genitori vogliono farci diventare e chi vogliamo essere davvero.
La serie Netflix Baby è costruita sui contrasti. La droga e la casa della nonna, il ragazzo di borgata e il figlio del preside, la ragazza acqua e sapone e la maudit. Questo lavoro sugli opposti trova la sua espressione anche nelle scelte di cast. Benedetta Porcaroli, Chiara, è bravissima nel ruolo della figlia perfetta che cela qualcosa, e nell’esprimere quanto possano essere stretti quegli abiti da brava ragazza.
Alice Pagani, Ludovica, incarna la trasgressione con il suo caschetto alla Louise Brooks e alla Valentina di Crepax. È provocante in modo innocente. Il contrario di Chiara, che è innocente in modo provocante. Accanto a loro, è interessante Riccardo Mandolini, attore esordiente, un volto d’altri tempi che sarebbe piaciuto a Pasolini.
Il teen drama, che pecca soprattutto nell’ingenuità dei dialoghi, ha dalla sua alcuni aspetti tecnici che ho apprezzato molto, come ad esempio la fotografia. L’uso dei colori, in particolare, è certamente l’elemento più interessante della serie, capace di creare delle atmosfere ad hoc che vanno persino a nascondere le diverse carenze attoriali che troviamo nel cast. Infatti, nonostante l’aspetto estetico perfettamente attinente ai ruoli interpretati, ho trovato la maggior parte degli attori piuttosto piatti. I soli a salvarsi sono forse Alice, Brando e Riccardo.
Altro grosso problema è forse l’eccessivo legame con i lavori di Federico Moccia. Il tutto rimanda infatti molto al mondo di Tre Metri sopra il cielo. I personaggi sono spesso drammatici nel senso più becero del termine, imbastendo tra loro relazioni alquanto ovvie. Tra un cliché e l’altro, sentiamo soprattutto la mancanza dell’idea di pericolo.
Lo spettatore non riesce ad entrare in empatia con i personaggi, non ha il terrore che vengano scoperti mentre compiono i loro crimini. Al contrario, rimane lì, freddo e impassibile. Nonostante si parli di prostituzione minorile, spaccio, giro illegale di denaro e rapporti con criminali teoricamente spietati, tutto resta molto pacato.
Non si ha mai la sensazione che i protagonisti stiano per essere scoperti o che qualcosa possa accadere loro. I genitori non si insospettiscono di fronte a una figlia che in due giorni porta 12 mila euro a casa o davanti ad una ragazza di quindici anni che esce ogni sera e sta fuori tutta la notte. È troppo facile giustificare questi errori di copione con la semplice “disfunzionalità” della famiglia.
Baby paga quindi la pigrizia della sceneggiatura e la povertà di idee nel concept generale. Manca un discorso centrale convincente, laddove sarebbe bastata una semplice condanna del fenomeno della prostituzione giovanile. Inoltre, seppur nessuno si aspettasse un prodotto simile a Giovane e Bella di François Ozon, la mancanza totale del sesso nella serie è quasi ridicola. Viene trattato ancora come un tabù: se ne parla, succede, dovrebbe essere al centro della trama eppure non si vede.
Tra i pregi che concedo a Baby c’è l’uso dei “social” con cognizione di causa. I protagonisti comunicano attraverso essi e soprattutto si imparano a conoscere sbirciando i profili altrui. Una cosa normale, che accade tutti i giorni e che finalmente non viene vista come il “male assoluto” ma come un semplice fenomeno dei nostri tempi.
Per concludere, Baby è una serie che ti spinge a finirla tutta d’un fiato solo per la sua cortezza e per la sua relazione con fatti veramente accaduti. Tuttavia, se fosse stata studiata di più e sviluppata meglio, sarebbe potuta tranquillamente diventare una gran bella denuncia sulle nuove generazioni, pronte a tutto per essere trattati come gli adulti che ancora non dimostrano di essere. Peccato…
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