- TITOLO: The Hunger Games: The Ballad of Songbirds & Snankes
- GENERE: Distopico, azione
- ANNO: 2023
- REGIA: Francis Lawrence
- ATTORI: Tom Blyth, Rachel Zegler, Hunter Schafer, Peter Dinklage, Josh Andrés Rivera, Jason Schwartzman e Viola Davis.
- DURATA: 157 Min
A otto anni di distanza dalla conclusione di una delle saghe più acclamate di tutti i tempi, Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpente riporta sul grande schermo la storia di Panem e dei dodici Distretti. La trama, tratta dall’ultimo romanzo di Suzanne Collins e adattata nuovamente al grande schermo da Francis Lawrence, è ambientata decenni prima la mietitura di Katniss Everdeen e Peeta Mellark, raccontando l’ascesa del distopico presidente Coriolanus Snow (Tom Blyth) e di come gli Hunger Games siano ufficialmente diventanti un fenomeno spettacolare.
Questo prequel vede Coryo, ultima speranza per il buon nome della casata Snow, alle prese con l’avvicinarsi della decima edizione degli Hunger Games. Nominato mentore della ragazza tributo del miserabile Distretto 12, Lucy Grey Baird (Rachel Zegler), una giovane magnetica dalla voce incantevole e dal carattere difficile, il diciottenne di Capital City comprende presto che una loro alleanza potrebbe giovare agli obiettivi di entrambi. Unendo i loro istinti per lo spettacolo, la loro astuzia, qualche inganno, tanta passione e manovre politiche, Snow e Lucy diventeranno una vera e propria squadra, mirando alla sopravvivenza reciproca e dando vita a una corsa contro il tempo che decreterà chi tra loro sia veramente l’usignolo e chi il serpente.
L’ultimo Hunger Games racconta una storia divisa in tre capitoli, minuziosamente pensata nei richiami alla saga distopica originale, ma meno creativa nello sviluppo vero e proprio della trama. Il film si muove in un costante e precario equilibrio tra novità e reminiscenza, tra indipendenza e citazione, riuscendo però ad eccellere solamente nelle fasi di recall, in cui tocca piano e dolcemente elementi dei primi Hunger Games che un po’ fanno battere il cuore a chi, come me, è da sempre ossessionato da questa trilogia (ormai quadrilogia).
L’amore di Snow per i veleni, gli ibridi che invadono le arene, la settimana di allenamento e nutrimento dei tributi prima della battaglia, la stesura della melodia “The Hanging Tree” e molto altro ancora formano un dono impacchettato egregiamente con scenografie superbe e locations ineccepibili.
Con Hunger Games: La ballata dell’usignolo e del serpente ci proiettiamo all’origine del capitalismo informazionale di Capitol City, ponendo le basi dell’iconica e feroce gamification del paradigma orwelliano su cui la saga si fonda. Infatti, come sopra citato, il prequel non è soltanto il racconto dei decimi Hunger Games e dell’ascesa del presidente Snow, ma è anche l’origine dei Giochi stessi come forma spettacolare, della loro trasformazione da “semplice” punizione per le fazioni ribelli di Panem a maestoso spettacolo televisivo.
A differenza dei film primordiali di Hunger Games, qui c’è molta meno azione e meno Giochi. O almeno, meno Giochi nel modo in cui ci siamo abituati a vederli nei film originali: niente arene high-tech, sfilate di tributi, costumi stravaganti o esercitazioni… solo uno stadio abbandonato e 24 ragazzi impauriti e trattati come animali. Ed è proprio questo ciò su cui punta la nuova pellicola, mostrare i Giochi come percepiti dal pubblico prima delle idee rivoluzionarie di Coriolanus Snow: cupi, brutali, crudi e tristi.
Il poco spazio occupato dall’arena lascia ampio margine di manovra a ciò che succede a Capitol City, dove lo spaccato politico mostra una capitale in ricostruzione, sia strutturalmente che emotivamente. È un film visivamente meno spettacolare rispetto alla precedente saga, più stratificato e più macchinosamente politico, in grado di catturare l’attenzione degli ormai cresciuti fan dei capitoli originali.
In questo contesto, emergono le ottime interpretazioni di un cast eccezionale: Tom Blyth, Rachel Zegler, Hunter Schafer, Peter Dinklage, Josh Andrés Rivera, Jason Schwartzman e Viola Davis. Ciascuno con i suoi punti di forza, non si può non lodare l’eccezionale voce di Rachel (che già avevamo scoperto nel remake di West Side Story di Steven Spielberg), la brillante follia perversa di Viola Davis, la dea ex machina che conduce folli esperimenti per continuare a sottomettere con la paura il popolo di Panem, e la frivolezza brutalmente e squisitamente ironica di Jason Schwartzman nei panni del conduttore Lucretious “Lucky” Flickerman.
Ultimo, ma non ultimo, il solo ed unico vero protagonista di questa storia: Tom Blyth. L’attore britannico, con la faccia angelica e i modi da eroe, ma il cuore macchiato da un lato oscuro, svela lentamente nei tre atti la sua indole da esperto manipolatore, la sua brama di potere e il senso di compiuto che prova nello strappare la vita di un altro. È un affascinante bugiardo, pronto a tutto pur di far carriera e perciò pur di difendere la sua tributa, Lucy Grey Baird, per la quale ha perso rapidamente la testa.
Estranea ai meccanismi di potere della capitale, Lucy è uno spirito libero, cresciuto a suon di musica popolare insieme ad un gruppo nomade, i Covey. Sia Zegler che Blyth sono molto bravi nel mettere in scena le stratificazioni del legame tra Lucy e Coryo, amplificato nel terzo atto, dove diventa sempre più difficile capire chi stia usando chi in questo gioco perverso.
Per concludere, Hunger Games: La ballata dell’usignolo e del serpente è certamente un prequel più lento e meno spettacolare rispetto alla saga da cui proviene, ma non per questo meno ammaliante. È un lavoro estremamente rispettoso dell’originale che offre uno spaccato più maturo e intellettuale del macabro mondo degli Hunger Games.
Una storia che aspettavamo e che meritavamo da tempo e che penso di tornare a vedere al cinema almeno un altro paio di volte.
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